Alla conclusione del processo per la strage di P.zza della Loggia


Sull’onda delle emozioni provocate dalla strage di Piazza della Loggia, in molti cittadini era nata la convinzione che fosse importante portare un volonteroso e attivo contributo per la formazione della coscienza civile nei giovani e nei meno giovani. Si trattava, infatti, di un episodio che – inserito in una catena di episodi consimili – testimoniava senza ombra di dubbio la tracotante presenza, in Italia, di un progetto di eversione dello Stato democratico.

In attesa che la giustizia facesse il suo corso appariva dunque opportuno mettere a disposizione e far funzionare strumenti atti a diffondere e a consolidare quelle convinzioni, quei dati culturali che sono fondamentali per il cittadino davvero consapevolmente protagonista in una società degna di essere chiamata civile. In questi giorni prendiamo atto con sgomento del modo in cui dopo trentasei anni si è concluso l’iter giudiziario, ma non ci si deve arrendere, perché le “coscienze” non devono cessare di mantenersi attive, di “sperare” e fare, per quel che si può, ciò che appare giusto e necessario perché nel nostro futuro ci siano meno sgomenti e, diciamolo pure, meno “vergogne”.
Riteniamo, però, che non basti. Bisogna, contemporaneamente e lucidamente, non sottacere la realtà, non farne oggetto di attenuazioni e di nascondimenti. E la realtà non sta soltanto nell’aspra delusione del constatare che lo Stato democratico tramite i suoi organi non è riuscito a dare risposta ad una ovvia e irrinunciabile richiesta di giustizia, ma che questa mancata risposta si allinea, con Ustica, l’Italicus, Piazza Fontana, ad una serie che toglie con evidenza ogni eventuale carattere di fortuita e singola episodicità, e si pone come terribile testimonianza di una realtà più generale. La realtà è – impossibile non prenderne atto – che la forza tracotante di chi è nemico dello Stato democratico e della civiltà, di cui esso è l’espressione, è tale da creare implacabilmente le condizioni perché non sia fatta giustizia, e si lasci così aperta più facilmente la strada a future eversioni (che non si fanno soltanto con le bombe).
Da questo punto di vista si può dunque dire che non soltanto quest’ultimo esito del percorso giudiziario per la strage di Brescia, visti i precedenti che costellano questa nostra recente storia d’Italia, poteva, angosciosamente, considerarsi prevedibile, ma che, anche, inevitabilmente, esso assume una sua forza inquietante di perentoria avvertenza: lo Stato italiano non sembra essere molto in grado di controllare i suoi possibili eversori. Che sono non pochi. E – dobbiamo ripeterlo – non soltanto quelli che collocano bombe.
V’è certamente un salto di qualità tra il ricorrere alle bombe e alle stragi e l’impiego di altri mezzi atti a svuotare i fondamenti della nostra convivenza civile, quali risultano dalla Costituzione, ma gli elementi di continuità e di affinità non mancano. Ed è di questo che ci si deve oggi preoccupare. L’angoscia e l’amarezza per il vuoto di fatto ottenuto dal percorso giudiziario per la strage di Brescia devono agire da stimolo per avviare o per continuare questo percorso di consapevolezza.

Fondazione Clementina Calzari Trebeschi
Fondazione Guido Piccini

Brescia, 18 novembre 2010