25 aprile 2020. Testimonianze di Romano Colombini e Lina Tridenti Monchieri


Il desiderio e la possibilità di riunirsi, di partecipare, di rievocare insieme, di manifestare per la libertà riconquistata, hanno sempre caratterizzato il nostro 25 aprile. Quest’anno la giornata vedrà piazze vuote, nessun assembramento, persone fisicamente lontane di fronte ad un nemico subdolo e invisibile per opporsi  al quale occorre la massima resistenza.

La Resistenza storica significò anche solidarietà e senso civico, ed a questi due concetti bisogna rifarsi per lottare contro il nemico attuale.

Per riaffermare il legame morale che ci unisce, pur se fisicamente distanti, la Fondazione Clementina Calzari Trebeschi vuole offrire  ai suoi amici e alla cittadinanza tutta due testimonianze di chi ha vissuto il 25 aprile 1945 come epilogo della propria partecipazione allo sforzo collettivo di riscatto politico e morale, Romano Colombini e Lina Tridenti Monchieri.

Fondazione Clementina Calzari Trebeschi

25 APRILE “FESTA DELLA LIBERAZIONE”

Quest’anno il 25 aprile non sarà festeggiato nelle piazze perchè tutto il mondo sta soffrendo nell’isolamento che costringe a misurarare la debolezza umana rispetto alla presunzione di dominare la natura.

A Vicenza, la città dove ho vissuto e dove tutta la mia famiglia è stata coinvolta e perseguitata per la Resistenza, la liberazione è avvenuta il 27 aprile 1945. E non è stato un giorno di festa. Ne ho parlato e scritto in varie interviste.

Ho superato l’esitazione all’invito a parlare di Resistenza. Come dice Laura Gnocchi: “Se sei stato partigiano, resti partigiano per sempre. Se ti sei battuto per la libertà da ragazzo non smetterai di avere a cuore quel bene prezioso che ha preso forma nella Costituzione repubblicana.”

Per me, a scuola e non solo, parlare della Resistenza è stato un impegno morale. Si deve ricordare soprattutto ai ragazzi che la guerra nazifascista ha distrutto il mondo, ha causato la morte di cinquantotto milioni di uomini, donne e bambini.

Non si è combattuta su fronti militari, ma in ogni luogo. Oltre a produrre le comuni terribili rovine dei conflitti, ha sperimentato forme nuove di distruzione e di morte. Ci sono stati bombardamenti a tappeto, attacchi di aerei e di carri armati che hanno ucciso migliaia di civili e distrutto monumenti, chiese e città con secoli di storia, d’arte e di bellezza. Cosa più orrenda, nel cuore della civile Europa, il nazismo ha costruito campi di sterminio e di concentramento. Sono stati sfruttati più di seicentomila prigionieri italiani e sono stati eliminati più di sei milioni di ebrei nel tentativo di cancellarli dalla terra.

In questi giorni di amare riflessioni, ho riletto “Se questo è un uomo” di Primo Levi.

La Resistenza, come un fiume in piena, percorse i paesi europei occupati dal nazifascismo: dalla Francia all’Italia, dall’Austria all’Ungheria, alla Russia ….

In Italia la rivolta fu motivata dalla volontà della liberazione dagli invasori, ma anche dalla dittatura fascista che aveva portato alla distruzione il paese e si era schierata a servizio dei nazisti.

Oggi, davanti alle sfide che pone la globalizzazione tornano proposte di chiusure di confini, di nazionalismi pericolosi, tacendo volutamente i danni del passato, del nefasto egoismo nazionalista.

Ma il mondo è totalmente cambiato. I giovani lavorano, studiano senza i divieti in cui è cresciuta la mia generazione. Prova ne é l’esperienza dell’Erasmus per tanti studenti europei.

Ci sono ancora antichi mali: le guerre, le enormi spese nelle armi, le mafie, le disparità, le promesse non mantenute dagli Organismi Internazionali, sorti dopo la guerra.

La scienza e la moderna tecnologia molto spesso non favoriscono la giustizia e il benessere sulla terra. E’ cambiato rapidamente il clima, si sciolgono i ghiacciai, il mare è inquinato da tonnellate di plastica, si manifestano tempeste ed incendi ingovernabili. I privilegiati vivono nello spreco del consumismo, mentre le moltitudine degli affamati e di coloro che vivono in zone di guerra cercano ad ogni costo di approdare dove si può vivere.

Ci sono motivi per una nuova Resistenza.

Oggi è un giorno della memoria che conforta, che deve suscitare la convinzione che i giovani troveranno la forza del cambiamento, della liberazione, della Resistenza ai nuovi egoismi.

Lina Tridenti

25 APRILE, GIORNO DI FESTA E DI SPERANZA

“Emergenza”: è diventata parola chiave di attualità. Emergenza sanitaria, economica e sociale. Ne scrivono i giornali, è ripetuta nei talk-show, domina le conversazioni. In questo clima perturbato e drammatico, che ne è della commemorazione del 25 aprile di settantacinque anni fa, data simbolo della fine della guerra e della Liberazione d’Italia dal Fascismo e dall’occupazione nazista? A mio parere, il ricordo di quel giorno deve rimanere nei nostri animi come un segno positivo, un vera e propria festa nazionale, al di là di ogni retorica e di nostalgie reducistiche. Molti italiani, pur educati nella scuola fascistizzata, condizionati da una propaganda martellante a senso unico, soprattutto subendo il trauma della guerra, si erano risvegliati, compiendo la difficile scelta della Resistenza, aprendosi verso nuovi ideali di democrazia, lottando in vario modo per cancellare la dittatura fascista. E questo non può essere dimenticato, perché dovrebbe far parte sostanziale, sebbene tra contrasti e contraddizioni, del nostro vivere civile. Dovrebbe farci sentire uniti nel riconoscere il debito che abbiamo con chi ha saputo soffrire e morire per renderci liberi.

Fortunatamente possiamo notare che in questi giorni, pur nel clima di “emergenza”, si sono moltiplicate le iniziative del ricordo di quello che fu il volto umano della Resistenza. Sono state raccolte interviste di partigiani sopravvissuti, vengono pubblicati profili di chi ha sacrificato la propria vita per la libertà. La bibliografia storica su Fascismo e Resistenza è ormai immensa e ha potuto sviscerare a 360 gradi quel complesso e variegato periodo. Ne è ultima testimonianza il recente ampio volume di Marcello Flores e Mimmo Franzinelli: STORIA DELLA RESISTENZA, Laterza, 2019 che “ ritiene giusto insistere nel richiamare la Resistenza non solo come prodromo della Repubblica e della Costituzione, ma come momento formativo di quella nuova “morale politica” che si era manifestata e affermata proprio tra il 1943 e il 1945” (pag. XI dell’introduzione). E’ soprattutto da questo spirito che dobbiamo farci guidare.

Anche alle scuole sono stati inviati sul web percorsi didattici “a distanza” per fare memoria del 25 aprile. Certamente non si vuole offrire una versione unilaterale dei fatti, ma bisogna con scrupolo far conoscere eventi e valori, affinché si possa giudicare e scegliere coscientemente. Oggi abbiamo bisogno di ricostruire e di ricostruirci senza perdere di vista gli obiettivi di libertà, uguaglianza e giustizia. C’è speranza per il futuro se la memoria del 25 aprile 1945 ci aiuta lungo questo non certo facile cammino. Armiamoci di senso di responsabilità e di coraggio, come donne e uomini, giovani e meno giovani seppero fare allora. Supereremo l’ ”emergenza”.

Romano Colombini