Il Papa alla Sapienza


Sulla vicenda della mancata presa di parola del papa all’Università di Roma è forse il caso di vederne, almeno riassuntivamente, i dati più rilevanti. Vicenda, certamente, clamorosa e sconcertante, e sicuramente sintomatica.

Sintomatica, se non altro, dello stato di disagio, di inquietudine, di tensione, di scontro che segna oggi il contesto politico-culturale italiano. Potrebbe essere utile, per poterne dare una valutazione sufficientemente “distaccata”, “stare ai fatti”, cercare di coglierli nella loro, chiamiamola pure così, elementarità. Proviamo ad elencarli:

  • 1. Il Rettore dell’Università “la Sapienza” ritiene opportuno chiamare il papa a tenere una prolusione in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico.
  • 2. Un gruppo di docenti (67) gli invia una lettera per dichiarare la propria contrarietà all’iniziativa
  • 3. Successivamente, un gruppetto di studenti inscena una manifestazione, più o meno di stampo goliardico, contro la presenza del papa
  • 4. L’invitato a questo punto ritiene opportuno declinare l’incarico
  • 5. Si scatena una violentissima polemica con bersaglio i 67 professori, definiti faziosi, intolleranti, antidemocratici, irresponsabili, e accusati di voler togliere la parola a chi non la pensa come loro; “cretini”, come li ha cortesemente apostrofati un illustre filosofo.

E c’è chi ha proposto di toglier loro gli incarichi che rivestono, di licenziarli (tra questi, un altro a suo modo anch’egli illustre filosofo.) E’ proprio così difficile stabilire dove si sia manifestata intolleranza? Non rientra nei diritti di ognuno, in questo caso di un gruppo di docenti, di esprimere un’opinione?
Un’opinione che si può anche non condividere, ma che non aveva certo nulla di offensivo: esprimeva la convinzione che non è opportuno affidare al massimo rappresentante di un orizzonte di “Sapere” (di “Sapienza”) quale può essere una religione, la prolusione all’anno accademico di una Università che, per natura sua, è sede di “Saperi” di tutt’altra natura.
In verità, risulta abbastanza strano che il Rettore, autore dell’invito, non se ne sia reso conto fin dall’inizio (salvo correre successivamente ai ripari con la discutibile correzione di spostare alla fine della cerimonia inaugurale l’intervento del papa).
Chi non condivide questa opinione può anche avere le sue ragioni, ma non si vede perché debbano essere messi alla gogna coloro che l’hanno civilmente espressa. L’episodio, al di là dell’assurdo clamore mediatico che ha sollevato, appare, in realtà, con evidenza, quale sintomo del fatto che in Italia (può darsi anche altrove… ma in Italia la cosa sta prendendo toni paradossali e preoccupanti) c’è uno scontro fra due culture.
Da un lato chi ritiene che il “Sapere” abbia i suoi fondamenti nell’autonomia del pensiero e della ricerca; dall’altro chi ritiene che esista un “Sapere” superiore, in grado di dettare la via a tutti gli altri “saperi”.
Certo il dialogo fra queste due prospettive è auspicabile e, si spera, possibile. Ma i famigerati 67 erano, anche, dell’opinione che una prolusione affidata al massimo rappresentante di questa seconda prospettiva, non si configura come un dialogo.

POSTILLA (febbraio 2008)

La Commissione parlamentare, cui spetta il compito di eleggere il Presidente del CNR, ha designato, a maggioranza, Luciano Maiani.
La minoranza si è battuta tenacemente per contrastare la nomina, compatta, evidentemente, nel mantenere la convinzione che bisognava “punirlo” per aver firmato la lettera dei 67.
Argomenti d’altra natura, che avessero un qualche rilievo, non ne sono emersi. Sintomatica la affermazione, esposta da uno dei componenti dell’opposizione, che il Maiani ha sempre avuto pochissima visibilità televisiva (argomento, dunque, ritenuto importante per valutare la preparazione scientifica).
Sconcerta la constatazione che l’ampiezza del dibattito sulla vicenda della lettera non ha dunque modificato in nulla le convinzioni di persone, parlamentari, che, per la delicatezza dell’incarico che svolgono, dovrebbero pur essere in grado di recepire, passato il momento “caldo” iniziale, le “ragioni”, i chiarimenti, che emergono dalla discussione e dal confronto delle idee.
La cosa è sconcertante, perché il contesto mediatico, nel quale viviamo, parrebbe offrire facili e numerose occasioni in grado di consentire l’affermarsi della cosiddetta civiltà del dialogo.
Al contrario, anche questo episodio depone a favore degli scettici, che ritengono inutili dibattiti e confronti: ognuno si tiene la sua opinione. Si può anche sostenere che il sole gira intorno alla terra, se questa opinione fa piacere a qualcuno con cui si intende schierarsi.

Fondazione Clementina Calzari Trebeschi